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Pietro Ponzo – Un caro amico

Pietro Ponzo – Un caro amico


Ricordo del canonico Giovanni Rovera in "Dronero e la sua valle" – 1997, Ed. Gribaudo

Pietro Ponzo alla fine degli anni '80Si è spento serenamente nel suo alloggio di via Busca, a Dronero, attorniato dalla moglie, dai figli e familiari, alla veneranda età di 87 anni, la bella figura di Pietro Ponzo (Pietrou de Biello) come lo chiamavano familiarmente amici e valligiani. I suoi funerali si sono svolti sabato 26 luglio 1992, a Canosio, con l'intervento di tanti compaesani ed estimatori, giunti lassù con un lungo corteo di macchine.

Se n'è andato con la modestia e la maestà di un vecchio patriarca, il mio caro amico Pietro. Partecipando ai suoi funerali, pensavo che con la sua scomparsa, la nostra val Maira, già tanto povera, si è ulteriormente impoverita. Ma ci restano i suoi due libri, editi dal Centro Provenzale Coumboscuro, "Val Mairo la nosto" e "Val Mairo, véio suhour" (di cui mi aveva fatto gentile omaggio) e i suoi numerosi articoli comparsi sul Drago e sul nostro Corriere, non ancora raccolti in volume, che continueranno a parlare di lui e con lui, formando una meravigliosa Trilogia. Quando avevo la gioia di leggerlo, mi pareva di scorrere le gustose pagine di Alphonse Daudet ne "Les lettres de mon moulin", ambientate nella sua Provenza.

Vi troviamo la sua autobiografia, fin dalle prime righe, quando scrive: "Siéu neissu mounthanar, ilamoun, dins uno di mai autos rùhas, forsi la mai auto de la parroquio dal Préit, dins la coumuno de Chanuéios" (Sono nato montanaro lassù, in una delle borgate più alte, forse la più alta della parrocchia del Preit, nel comune di Canosio).

"Ai minjia pan de bià, taiarin, trifulos, polento a voulentà e begù l'aigo avivo ai soùrsos" (Ho mangiato pane di segala, tagliatelle, patate, polenta a volontà e bevuto l'acqua viva delle sorgenti).

E poi la scuola a Preit, la licenza di quinta elementare a Dronero, come privatista e infine, anche per lui come per molti altri, perché lassù erano troppe le bocche da sfamare, giunge l'ora di "passar la bercho" (di passare la breccia – il confine). Si fa "gardian di mérinos" (guardiano di pecore) in quella Camargue che diventa la sua seconda patria e di cui ha parlato sovente nei suoi libri, alle prese con 7.000 pecore, cavalli e "nieùra" (tori da corrida), nei mas della Crau e nelle transumanze sul versante francese delle nostre Alpi.

Si può dire che Pietro è un autodidatta, ma, avido di saperne sempre di più, ha letto molto e sull'onda dei ricordi, a un certo punto si scopre e diventa narratore delle tribolate vie dell'emigrazione e testimone di un mondo, quello delle nostre valli e dei suoi abitanti che egli rifiutò sempre, anzi se ne offese, fosse chiamato "il mondo dei vinti".

Ma lasciamolo ancora parlare: "Sento che debbo continuare a parlare, per richiamare di più l'attenzione sulla nostra antica gente della quale non si è ancora detto tutto: come vivevano, che cosa facevano, come costruirono le caratteristiche case che via via formarono quegli agglomerati, grandi o meno grandi ancora adagiati sul mezzo dei valloni, abbarbicati lungo i cresti o sistemati sui poggi". Ed è così che si fanno interessanti ed attraenti i suoi racconti, quando parla della suola dei suoi tempi, del parroco teologo Lorenzo Poracchia che, nell'ultimo scorcio dell'800, istituì una scuola privata nella quale, unico insegnante, portava i ragazzi fino al ginnasio compiuto, oppure della semina, della fienagione, della mietitura della segale e dell'orzo, per farne pane nei forni della comunità, della polenta "voùncho", della festa della "bahìo" diSan Lorenzo al Preit, dell'allevamento del bestiame e delle fiere, delle nevicate e delle valanghe, delle leggende dei sarvàns e del diavolo, della guerra fra San Lorenzo e le masche, dei mestieri caratteristici della valle, della medicina di una volta e delle cure con le erbe, della religiosità dei montanari e delle loro chiese, della vita dura dei boscaioli e del trasporto dei tronchi nel Maira in piena, delle vigne e del vino di Lottulo e di Stroppo, dei mulini, dell'irrigazione dei prati a San Michele di Prazzo con un canale di 14 Km progettato dal parroco don Salomone ecc. ecc.

Una scorsatina tra i titoli dei suoi racconti, per suscitare curiosità, ma soprattutto per essere riconoscenti a Pietro perché attraverso quelle pagine fu il cantore di una civiltà e di una cultura della gente umile ma forte, povera ma ricca di fede e d'intelligenza che "pur faticando, quella povertà la vivevano con dignitosa pazienza e rassegnazione, sopportando le tante difficoltà dell'ambiente montanaro, il rigore dei lunghi inverni, le tribolazioni causate dalle forti nevicate e dalle furiose tormente che a volte rendevano impossibile qualunque forma di comunicazione e di transito".

Siccome di queste esperienze molti di noi ne fummo in parte partecipi e protagonisti, lo ringraziamo perché ne abbia dato così lucida testimonianza, come un patrimonio che non deve morire, che non va dimenticato, perché è frutto del "viéio suhour" (sudore antico) delle nostre genti.

Non aveva frequentato l'università, non era iscritto all'albo dei giornalisti, eppure si faceva leggere. Scriveva, anzi raccontava come il nonno, a veglia, dalla cui bocca fluivano le parole perché lui era un osservatore riflessivo, un personaggio ricco di carica umana e cristiana non comune, di una saggezza genuina propria della gente di montagna: quella che lo guidò lungo i sentieri di una vita lunga ed intensa e gli mise in mano la penna per scrivere che la storia è fatta di gente semplice e che il mondo va avanti per le virtù, la fede e l'intraprendenza di tante persone buone, oneste e perbene.

Bisogna rileggerle quelle pagine, per convincerci che di questi valori ce n'è, soprattutto oggi, più che mai bisogno.

Giovanni Rovera



BIOGRAFIA DI PIETRO PONZO
da "Gent de ma valado - Una voce dalla valle"

Pietro Ponzo, soprannominato Pietrou de Bièllo, è nato a Preit di Canosio nel 1905.
È andato a scuola al suo paese natio fino alla terza elementare, successivamente ha conseguito la licenza di quinta a Dronero. Le necessità economiche si fanno sentire presto e Pietro, a diciassette anni, è già in Provenza come pastore di pecore, cavalli e tori da combattimento. Si trasferirà successivamente nell'Hérault dove, continuando a lavorare come "guardiàn", ebbe modo di conoscere a fondo il mondo dei pastori, che riuscì a suggerirgli pagine poetiche, nonostante la durezza delle condizioni di vita.
Dalla Camargue all'Isére, guidò le transumanze di centinaia di capi di bestiame, con quel coraggio e quel buon senso che ha dimostrato successivamente nei suoi scritti.
Dopo il servizio militare tornò in Francia dove fu, di volta in volta, pastore, autista, ambulante di commercio; non dimenticò tuttavia mai la sua terra d'origine, dove tornò per sposarsi nel 1938.
Nato e cresciuto all'epoca in cui la scuola era ancora un lusso, imparò da solo anche il "mestiere di scrivere" e lo esercitò sempre a favore della montagna e dei montanari, affinché in un'epoca di abbondanza non andasse perduto il ricordo dei sacrifici che da sempre i valligiani hanno dovuto affrontare.
Dalle sue pagine emerge una vera e propria epopea della gente provenzale alpina che, fin dai tempi assai lontani, è stata un popolo di pastori, di contadini e di emigranti, del quale egli è orgoglioso di far parte. Ha collaborato per molti anni a varie riviste, anche in Francia, dove ha ricevuto innumerevoli riconoscimenti per la sua attività. Per molti anni ha pubblicato articoli sul mensile di Dronero "Il Drago": a lui va la nostra riconoscenza.