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I soccorsi
Maggio 1937, la ricerca delle ultime vittime.
(Riproduzione stampa esposta nel municipio di Canosio)
Articolo tratti da "Il Maira" – gennaio 1998
a cura di Fabrizio Devalle e Mario Berardo
1937-1998: 61 anni fa. Durante l'ascesa al passo della Gardetta una pattuglia della 18a Compagnia del Battaglione alpino "Dronero" sepolta sotto 10 metri di neve.
Gennaio 1937
In quell'inverno era caduta molta neve; a fine gennaio, consecutivamente per tre giorni. Non era un tempo adatto per una esercitazione, ma il capitano Trevisan, comandante della 18a Compagnia del battaglione alpino "Dronero", uomo intrepido e sprezzante del pericolo, benchè sconsigliato dai montanari del Preit, decideva di salire al passo della Gardetta per ricongiungersi ad Acceglio con il resto del battaglione.
Era il mattino del 30 gennaio e tirava vento di scirocco. Gli alpini sciatori che facevano da apripista affondavano nella neve. La pattuglia procedeva faticosamente e lentamente, quando dal soprastante ripido costone della Meja si staccò un'enorme valanga che con fragore si abbattè su quegli uomini, rincorrendo le figure degli alpini e travolgendo un intero plotone. Dato l'allarme, i soccorsi giunsero tempestivi, ma per molti era ormai troppo tardi.
La testimonianza
Alle operazioni di recupero delle salme partecipò la 19a Compagnia, di cui faceva parte il buschese Cesare Arnolfo, il quale, dopo una iniziale e più che comprensibile commozione al ricordo della tragedia, ci ha fornito la sua testimonianza.
"Fu un alpino sciatore a dare l'allarme e immediatamente, disarmati, partimmo da San Michele di Prazzo alle 7 di sera per andare sul luogo della disgrazia. Il percorso per raggiungere il Preit fu molto lungo e difficoltoso, data l'abbondante nevicata che si era avuta in quei giorni. Basti pensare che durante il tragitto il tenente Rittetore sbagliò il sentiero sprofondando in un burrone e con enorme difficoltà riuscimmo ad estrarlo dalla neve. Salendo avevamo paura delle valanghe. Dopo una marcia estenuante giungemmo a Preit alle 4 di mattina. Ci riposammo nelle stalle e mangiammo qualcosa datoci dagli abitanti della borgata. Alle prime ore del giorno ripartimmo per andare sul luogo della disgrazia e giunti iniziammo subito a scavare alla ricerca delle vittime.
Si scavava, ma l'enorme massa della valanga, circa 500 metri di lunghezza, non lasciava individuare punti precisi per la ricerca dei corpi. Più passavano le ore, più ci sentivamo prossimi al fallimento e la speranza di trovare qualche superstite diminuiva.
Al ritrovamento del caporale Chiaffredo Giraudo di San Chiaffredo di Busca mi prese un tremendo sconforto pensando all'impotenza dell'uomo contro le forze della natura. «Perdere la vita a 20 anni per un'imprudenza: che senso ha?» mi domandai. Immenso era il dolore ogni volta che si trovava il corpo di un alpino. Trovammo corpi inermi sepolti sotto 10 metri di neve; alcuni avevano i corpi sfigurati a causa del pietrame che la valanga aveva trascinato con sé, altri erano abbracciati. Il numero delle salme saliva.
Enorme fu la gioia quando ad un tratto trovammo ancora vivo un caporale di Busca, di cui non ricordo il nome (nota dei giornalisti: Giuseppe Gozzarino, che evitò quel giorno la morte, il cui appuntamento fu però soltanto rimandato alle desolate e glaciali pianure russe), il quale fu subito trasportato all'ospedale militare di Bra. Riuscimmo a recuperare 18 vittime, ma a causa del nuovo peggioramento del tempo le ricerche vennero interrotte. All'appello mancarono 5 alpini, i cui corpi vennero ritrovati a maggio con lo scioglimento della neve. Voglio tralasciare di parlare delle scene strazianti dei familiari e della straordinaria partecipazione della popolazione di Dronero ai funerali. Infatti, un immenso dolore pervade sempre il mio cuore quando penso e vedo, come se il fatto fosse avvenuto oggi, quei miei commilitoni immersi nella valanga".
Fabrizio Devalle e Mario Berard
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