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Come si viveva
COME SI VIVEVA UNA VOLTA A CANOSIO
Da "Una comunità alpina cinquant'anni fa" a cura di Mario Corsero
"ALMENO LA MEMORIA:Rocca la Meja 30 gennaio 1937"
Comunità Montana Valle Maira, 1987
Canosio"Come si viveva nei tempi di una volta? Male, malissimo", risponde a Nuto Revelli il contadino muratore di Canosio Giovanni Battista Ponzo, detto Carabin, classe 1888.
Eppure, nel secolo scorso, Canosio è una comunità viva. Il Casalis – siamo a metà dell'Ottocento – segnala la presenza di due floride parrocchie, nel Capoluogo e al Preit, una grande quantità "di bestie bovine e di capre", le buone coltivazioni di segale, orzo, "marzuoli di ogni specie", un po' di frumento, alcune fabbriche di tela ("ed havvene una di grossi panni, in cui sono impiegati cinque operai").
La fiera del 12 settembre dura tre giorni, "accorrono ad essa molti trafficanti del Piemonte per la compra del vario bestiame": si pensi che la strada è ancora lontana, ferma a Stroppo fino al 1890; a Prazzo nel 1897 e solo negli venti salirà per il vallone di Marmora e Canosio. Il luogo è anche meta di cacciatori che "vi trovano pernici, fagiani, lepri, volpi, e rupicapre (camosci, n.d.r.)". "Nella scuola comunale si insegnano i primi elementi della lingua italiana". Gli abitanti sono poco meno di mille (980, dice il Casalis) "di robustissima complessione, di ingegno vivace, ma poco inclinati alle lettere, e forse troppo tenaci delle proprie opinioni".
Da allora, non faranno che diminuire, in un processo inarrestabile di caduta. All'inizio del Novecento sono scesi a poco più di 600, 492 nel 1922. Nel 1936, quando lo spopolamento montano è già diventato oggetto di stidi allarmati (tra tutti, quello dell'INEA, affidato per la Val Maira al diligente Giuseppe Balocco), a Canosio non restano che 316 persone, disseminate in un alto numero di piccole borgate. Il Comune è stato soppresso, aggregato a Marmora.
Ma i dati del censimento, tratti dai dettagliatissimi "Fogli di famiglia" (che nell'Archivio di Marmora si conservano integralmente), ci restituiscono l'immagine di una comunità ancora viva e vitale. E' aprile: 27 persone sono assenti dalla propria casa per lavoro: alcuni sono scesi in pianura, molti in Francia, in una emigrazione stagionale che maschera o tende a diventare definitiva.
Nel capoluogo risiedono 83 persone. In gran parte sono agricoltori (48); 14 bambini frequentano la scuola, insieme ai non pochi altri delle borgate vicine. Risiedono qui il maestro e il parroco, il commerciante di alimentari e il fabbro ferraio. A Opacco, Lubac, di là del Maira, troviamo 4 famiglie per 21 persone, 16 agricoltori, 3 scolari. E' molto abitata la costa soleggiata del Colle di S.Giovanni: 3 famiglie, 12 persone, a Garzino inferiore; altre tre a Garzino superiore, 11 persone; 21 persone a Serre, 3 famiglie; e 16 famiglie a Colle, 66 presenti, 14 scolari, un falegname, un bottaio, una sarta: per il resto, agricoltori, su terreni fecondi di segale "con cespi alti due metri" (G.Balocco).
Risaliamo il vallone del Preit. A Pian Preit, dopo una cava di lose, troviamo 2 famiglie con sei persone. Di qui si arriva a Preit, con la parrocchia, la scuola, il postino, tre osterie, lo spaccio dei sali e tabacchi, mulini, una fucina da ferro, il carnevale, la bajo per la festa del Santo. Pietro Ponzo, montanaro di grande umanità di buona memoria, ha raccontato più volte (nei suoi libri e sul "Drago", periodico di Dronero) la vita quotidiana e i caratteri di questa comunità che conta allora 23 famiglie, 87 persone. Altre tre famiglie, 15 persone abitano a Soleabue, 1 a Colombero e 1 a Cuccià, 4 a Corte (16 persone). Più in alto, le grangie dove d'estate molti si spostano per gli alpeggi, a Pratolungo e Servino, sulla strada militare del Colle del Preit, o alla Calausa (torneremo a parlarne) e alla Valletta, sotto la Meja, alla Margherina o alle Grangie Chiampasso, nella vasta conca che conduce al Colle della Gardetta, dove già all'inizio del secolo "un comodo sentiero fiancheggiato dai pali del telefono" conduce ad un "accampamento militare" (G.Lantermino,1911).
Oggi non restano che case abbandonate, se non nel capoluogo, porte sbarrate e tetti crollati; o per altro verso, una occupazione estiva, almeno quella, che tuttavia non fa più comunità e soprattutto non lascia intravedere che incerti barlumi di futuro.
"La nostra vita di oggi? – conclude Giovanni Battista Ponzo, detto Carabin – La montagna va a perdere, la gente scappa via, qui non si vive più. Canosio ha ancora centocinquanta abitanti. Ma non c'è più un contadino giovane, i giovani sono tutti all'ENEL, nella Michelin, alla Burgo, alla FIAT. Se la gente della città sapesse la vita che si fa in montagna!...Ma la situazione di oggi non dura. Gira gira, verrà di nuovo il giorno che ricominceremo da principio. Io non lo vedrò più quel giorno, ma presto o tardi arriva".
Il futuro, davvero, sembra essere poco più di un sogno.
Ma di questo sogno la memoria costituisce forse una delle condizioni, perché tutto comunque non avvenga all'insegna di una sconsideata cancellazione di identità collettive.
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